Cinema Africa - Eritrea

Dal 1882 al 1947, per 65 anni dunque, l’Eritrea ha rappresentato “la periferia” più estrema dell’Italia. Acquisita nell’epoca delle guerre coloniali, è stata raggiunta da migliaia di italiani in divisa militare ma anche da funzionari, commercianti, avventurieri. I matrimoni con ragazze del luogo furono dichiarati illegali nel periodo fascista ma questo non impedì le unioni, prima durante e dopo. Terminata la 2° Guerra Mondiale alcuni italiani, soprattutto molti meticci, sono rimasti in Eritrea, in particolar modo ad Asmara. Vivono in un volontario isolamento interrotto da brevi momenti conviviali in cui ricordano i fasti e gli agi dei tempi andati, le fughe al mare in aereo, i circoli di golf e tennis, il bowling, le passeggiate e le soste negli eleganti bar, i balli e le tresche amorose. Una vita che sembra appartenere a uno di quei film proiettati in una delle tante sale cinematografiche dai loro nonni costruite e oggi dismesse o impropriamente utilizzate. Finito il periodo coloniale, la popolazione eritrea sembra aver rinunciato agli “esempi di progresso” portati dagli occupanti, ed essersi riappropriata di una vita contadina, di abitudini ottocentesche. In Italia i libri di storia, la politica, la scuola hanno manifestato riserbo nel parlare di questa periferia geografica. “Mi mandasti a dare il tuo nome e mi hai smarrito nella polvere, vergognandoti della mia esistenza meticcia”, ho letto in un quadernetto di appunti anonimo. Oggi rimane una sorda convivenza tra un ritorno al passato della popolazione indigena, che ha voluto riappropriarsi della propria cultura, e un ricorso al passato della popolazione meticcia, sospesa in una “polvere di stelle”, periferia spaziale, temporale ed esistenziale.

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