Gruppo labronico

L’atelier come “quadro” entro il quale nascono i quadri

Nel 1920 alcuni pittori dettero vita al Gruppo Labronico, il sodalizio nasceva in virtù dell’ammirazione verso Mario Puccini, recentemente scomparso, e della volontà di ricordarlo. Nei decenni, hanno aderito pittori come Nomellini, Bartolena, Borgiotti, Cappiello, Cocchi, Corcos, Fucini, March, Peruzzi, Tomassi, nomi che hanno varcato i confini nazionali.Oggi fanno parte del Gruppo Labronico ventotto autori di età compresa tra i 40 e i 90 anni, venticinque pittori e tre scultori.

Il progetto racconta gli artisti del Gruppo Labronico nell’intimità dei loro luoghi di lavoro, atelier, botteghe ma anche spazi abitativi con angoli dedicati ad un cavalletto. L’idea è nata dalla convinzione che gli ambienti nei quali si partoriscono le opere siano altrettanto importanti che le opere stesse e che vadano dunque tramandati, donati alla città e oltre.
È stato facile entrare in sintonia con gli autori, il linguaggio dell’arte ha facilitato la comunicazione. Ogni incontro ha fornito anche l’occasione per scrivere anche un breve testo, non un testo critico ma una riflessione a caldo scaturita dalle immagini scattate o non scattate durante la permanenza nell’atelier, uno spazio intimo dove è un privilegio essere ammessi.

Adastro Brilli

“Anch’io ho iniziato dipingendo dal vero, seguendo il solco tracciato dai macchiaioli”.

“Mi sono avvicinato al Buddismo grazie a mia figlia; è attraverso la preghiera che ristabilisco l’equilibrio interiore nei momenti di difficoltà”.

Agostino Veroni

“Conciliare il gusto del pubblico, le richieste dei galleristi con la pittura che desidero fare è stato lo sforzo maggiore da produrre. La pittura è la mia professione e non avrei voluto fare nient’altro”.

“Sono un colorista, nei colori mi tufferei, mi piace sporcarmi, usare tanta materia… Non cerco un messaggio, la mia è una pittura di emozioni”.

Alessio Vaccari

“È dal punto che nasce la mia pittura”.

“Il punto geometrico è un’entità invisibile…Pensato materialmente, il punto equivale a uno zero. Ma in questo zero si nascondono diverse proprietà che sono umane…il punto geometrico è il più alto e assolutamente l’unico legame fra silenzio e parola…appartiene al linguaggio e significa silenzio”.

Da “Punto Linea Superficie” di Wassily Kandinsky

David Giroldini

“Non mi vedo come puntinista, i miei punti di riferimento sono piuttosto la “nuova figurazione” e l'esistenzialismo di Hopper”.

“Dipingere dal vero distrae, porta all’osservazione di troppe cose e fa perdere di vista quel che più mi interessa, la sintesi”.

Enrico Bacci

“Lasciare una traccia che ci racconti, che ci spieghi ai nostri figli”

Fabio Leonardi

“Mi definisco un creativo, lascio sempre una porta aperta, un lavoro d’illustrazione si può trasformare in un lavoro di scultura o di scenografia. La parte embrionale, quella in cui credo e che mi aiuta di più, è quella del foglio e della matita, fase in cui do forma all’idea di partenza che poi può trasformarsi in altro”.

Fiorenzo Luperini

“Mi hanno definito il meno livornese tra i pittori livornesi”.

Franco Campana

“Mi piacciono le superfici piane perché ci posso scrivere… ho dovuto abbandonare la scuola troppo presto… L’uomo ha bisogno di raccontarsi e l’arte è l’unica lingua che rispetta le individualità”.

Franco Mauro Franchi

“Da quando ho lasciato l’Accademia, qui passo la maggior parte della giornata”.

Galliano Nilo Morelli

“Ho iniziato come musicista e compositore, negli anni ’50 e ‘ 60, il mio genere melodico piaceva. Poi con l’arrivo dei beat ho capito che i tempi erano cambiati”.

“Il travertino è duro”.

Isabella Staino

“Mi piace che la tela rimanga morbida, che quando la colpisco sbatta contro il muro, perché ci sono momenti in cui la picchio forte”.

Laura Venturi

“Io volevo proprio andare all’Istituto d’Arte di Lucca, a Pisa non c’era ancora e i miei genitori non erano contenti di mandarmi a studiare in un’altra città ma alla fine, con fatica, l’ho spuntata”.

Marco Manzella

“Signora maestra, come mai c’è tutto questo fumo fuori?... Non avevo mai visto la nebbia prima di venire a Brescia… ho uno studio anche a Viareggio che mi fa sentire più vicino a Livorno, quando scendo verso Sud e supero il tunnel tra l’Emilia e la Toscana sento finalmente odore di casa”.

Marco Orsucci

“Qui ci sono i miei fallimenti, ovvero i lavori che non ho venduto… Avrei bisogno di un assistente che mettesse ordine ma sono sicuro che finirebbe per far suo lo spazio e allora sarei io ad andarmene.”

Massimo Lomi

“C’è stato un periodo in cui ho viaggiato molto, facevo fotografie e questo mi ha permesso di fissare luoghi che poi ho riproposto con la pittura”.

“Un giorno mio padre commentò così un mio lavoro bello, peccato tu l’abbia fatto su una porta anziché sulla tela’”.

Maurizio Bini

“Il figurativo mi è sempre sembrato dare di più”.

Melania Vaiani

Melania si muove ora con la forza di chi deve decidere in quale direzione “graffiare” il metallo, ora con la misurata sapienza che si richiede in un laboratorio chimico.

Serafino Fasulo

Paolo Grigò

“Ho studiato all’Istituto d’Arte di Cascina, quando ancora era specializzato nella lavorazione del legno. Poi ho fatto vari mestieri, anche umili, fino a quando una parrocchia non mi commissionò parte degli arredi di una nuova chiesa”.

Pier Paolo Macchia

“L’uomo ha il dovere di migliorarsi anche se ognuno di noi ha un limite oltre il quale difficilmente può andare, fatti non fummo per viver come bruti”.

“ Dipingere i ricami comporta meticolosità e pazienza, talvolta è un lavoro ripetitivo, si compie lo stesso gesto un’infinità di volte ma piano piano prende un ritmo e diventa una forma di meditazione”.

Piera Pieri

“Non ho mai rifiutato il lavoro su commissione, quando mi è stato chiesto un ritratto o una composizione floreale li ho fatti. Questo mi ha permesso di continuare a dipingere, questa casa l’ho comprata dipingendo”.

Piero Pastacaldi

“Con Giorgio Luxardo, Masaniello Luschi e Franco Mazzaccherini si alloggiava alla pensione Clodia di Chioggia per risparmiare, nei bagni c’erano le mutande stese delle puttane che ci lavoravano. Dipingevamo a Venezia e a Chioggia dove veder emergere dalla nebbia i rossi del mercato era spettacolare”.

Roberto Pampana

“C’era gente che dipingeva, mi sono guardato intorno e ho detto ‘Bello! Come si fa a venire qui?’”.

“Cocchia mi fece notare come ingrandendo un dettaglio si perdessero i contorni delle cose e si entrasse in un’altra dimensione, in quel momento ebbi l’impressione di respirare meglio”.

Stefano Bottosso

“Nei campi c’erano i pittori che lavoravano con la scatola dei colori appoggiata sulle gambe. Io correvo a guardarli e stavo con loro per ore. Essendo piccolo, l’olio di lino lo avevo vicino al viso e lo respiravo a pieni polmoni, mi piaceva.”

“Mi serve per il disegno ma poi non guardo più l’immagine, chiudo gli occhi e recupero l’emozione ricevuta al momento dell’incontro con il paesaggio”.

“Non ha significato una produzione a tamburo battente, un quadro richiede il suo tempo, può essere finito in una giornata ma possono occorrere settimane”

Stefano Pilato

Il suo lavoro ha fatto tendenza, molti sono gli imitatori, molti i tentativi di plagio, ma le sue opere si distinguono per forza creativa, originalità, capacità di mettere in dialogo gli oggetti più disparati. Si distinguono perché hanno l’anima dell’uomo che ha visto il proprio futuro nel vento.

Serafino Fasulo

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